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Per Aspera Ad Veritatem n.1
Comitato Parlamentare per i Servizi di informazione e di sicurezza

Primo rapporto sul sistema di informazione e sicurezza (prima parte)







Lo Stato democratico ha diritto alla ricerca di informazioni riservate ed all'acquisizione di notizie in qualsiasi modo rilevanti per la difesa della propria integrità e della sicurezza pubblica.
La cultura giuridica italiana ha più volte affrontato il problema della definizione di questo diritto ed ha analizzato le norme e le strutture istituzionali che ad esso fanno capo. Il Parlamento ha dedicato al medesimo tema specifiche inchieste ed attività ricognitive, volte a verificare l'applicazione delle leggi vigenti e la legittimità delle prassi formatesi nel tempo. Dalle iniziative e dai lavori parlamentari hanno spesso tratto origine i contributi della dottrina.
Un lucido inquadramento teorico di questo diritto era già in un saggio di Arturo Carlo Iemolo pubblicato nel 1967 e volto a richiamare l'attenzione dei costituzionalisti su un aspetto trascurato della struttura statale, ma presente ed attivo. (1)
Numerosi spunti offerti dallo scritto di Iemolo sono stati poi ripresi nella letteratura giuridica: in specie quelli che prospettavano la necessità di nuove garanzie. La legislazione ne ha tenuto conto, sia pure con approdi che oggi consideriamo limitati ed insufficienti.
La dottrina, nel definire il diritto d'informazione e di prevenzione dello Stato, ha fissato tre limiti necessari. Il primo è che l'ambito di competenza degli organi militari dev'essere limitato alle indagini per la difesa da potenziali nemici esterni. Il secondo è che la raccolta di informazioni sulle idee politiche dei cittadini è illegittima. Il terzo è che l'impegno assunto mediante trattati o accordi internazionali di sottoporre ad una particolare sorveglianza determinate categorie di cittadini, per la loro appartenenza ad un partito politico, o per le loro opinioni, è ugualmente illegittimo ed in contrasto con la Costituzione.
L'azione che gli apparati di informazione e sicurezza sono chiamati a svolgere deve avere invece come fondamento e come linea di confine proprio i principi della Costituzione. Anzitutto l'articolo 52, che definisce la difesa della Patria come sacro dovere del cittadino; in secondo luogo, combinato con il precedente, l'articolo 54, il quale stabilisce che "tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi». (2) Le attività di intelligence e di sbarramento all'attività informativa di altri Stati o poteri, con tutto ciò che hanno di non convenzionale nei mezzi (per cui possono prevedersi deroghe alle ordinarie disposizioni di legge), (3) sono comunque ordinate a quelle finalità.
Chi appartiene ai Servizi di informazione e sicurezza ha il dovere di essere fedele alla Repubblica, ma questo è anche per lui un diritto che dovrebbe comportare rifiuto e denuncia delle deviazioni.
Per altro verso, la prevenzione di atti dannosi all'integrità dello Stato e la difesa contro l'eversione interna ci riportano a valori costituzionali quali quelli dell'articolo 11 («L'Italia ripudia la guerra...»), dell'articolo 1, comma 2 («La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione»), dell'articolo 2 («La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo...»).
Questo è in sintesi il modello normativo, il quadro di valori e finalità a cui possono ricondursi nel nostro ordinamento i Servizi di informazione e sicurezza.
La loro credibilità - anche in relazione ai principi costituzionali - è direttamente proporzionale alla legittimità delle direttive ed alla serietà dei controlli, a cominciare da quello parlamentare, che nell'attuale legislazione è invece approssimativo ed insufficiente.
Oggi, comunque, I'esercizio corretto del potere di controllo che spetta all'organo parlamentare deve partire da una considerazione. La realtà è molto lontana dal modello normativo che la dottrina ha tracciato. Le stesse garanzie introdotte per legge sono state ampiamente aggirate e rese vane.
Numerose deviazioni e ricorrenti illegalità hanno pesantemente condizionato i Servizi di informazione e sicurezza nelle vicende italiane dell'ultimo trentennio. A più riprese si è verificato un cattivo uso della discrezionalità.
La partecipazione a disegni eversivi, il depistaggio di delicate indagini giudiziarie volto a coprire quei disegni, i rapporti con centri di potere occulti, l'appropriazione illecita del pubblico danaro sono tra gli effetti (alcuni lontani nel tempo, altri più attuali) di questa degenerazione istituzionale.
Il mutato quadro internazionale (con il venir meno della guerra fredda e delle ragioni di una «doppia lealtà» dei Servizi (4) ), e contemporaneamente i profondi mutamenti in corso nel sistema politico italiano rappresentano un'occasione storica. è possibile fare luce sugli abusi del passato, su come la discrezionalità sia stata piegata a fini di parte, sulle ragioni del silenzio o del depistaggio, nell'ambito dei Servizi, riguardo ad alcuni grandi delitti di terrorismo. è possibile ripensare le funzioni e rinnovare dalle fondamenta le strutture organizzative di questi apparati.
Coloro che all'interno dei Servizi lealmente operano non possono non condividere un'esigenza di pulizia, di maggiore efficacia del proprio lavoro, di criteri obiettivi per il reclutamento e per la valutazione di ciascuno.
Questa relazione intende contribuire ad un'analisi del sistema italiano d'informazione e sicurezza ed alla compiuta definizione degli obiettivi del rinnovamento.


Il Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, ricostituito nella XII legislatura, ha ripreso i suoi lavori il 15 settembre 1994, con la elezione del Presidente e dell'Ufficio di Presidenza. È stata immediatamente avviata una ricognizione complessiva dello stato dei Servizi. Si sono svolte dal 15 settembre 1994 al 22 marzo 1995 21 riunioni. Per le richieste di informazioni necessarie all'esercizio dei poteri di controllo del Comitato sono state effettuate 17 audizioni di responsabili politici e tecnici. Sono state inviate: 5 richieste scritte al Ministro dell'interno, che hanno tutte avuto risposta; 2 richieste scritte al Segretario generale del CESIS, che hanno avuto risposta; 8 richieste scritte al Direttore del SISMi, che hanno avuto risposta; 11 richieste scritte al Direttore del SISDe, di cui 10 hanno avuto risposta; una richiesta al responsabile del SIOS Aeronautica, che ha avuto risposta.
E' stato effettuato, in data 14 dicembre 1994, un sopralluogo presso la sede dell'Ufficio centrale per la sicurezza (UCSI), organo dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, sul quale il Comitato, dalla sua istituzione nel 1977 fino ad oggi, non aveva mai svolto alcuna attività di controllo. (5)
In occasione di quel sopralluogo, il Comitato ha acquisito 10 fascicoli personali, scelti a caso ed a titolo di esempio, contenenti informazioni riservate, raccolte dall'UCSI ai fini del conferimento dei «Nulla osta di segretezza» (NOS). Al Direttore dell'UCSI è stata inoltre inviata una ulteriore richiesta scritta di ragguagli circa le attività dell'Ufficio, che ha avuto risposta.
Sono stati acquisiti, dal 15 settembre 1994 al 22 marzo 1995, 327 documenti. Di questi 95 provengono dall'Autorità giudiziaria e 20 sono stati inviati al Comitato (in quanto rilevanti per la sua funzione di controllo) da parte della magistratura requirente, pur essendo tuttora coperti dal segreto d'indagine.
L'attenzione del Comitato si è rivolta alla organizzazione ed alle finalità degli apparati per la sicurezza: anzitutto, ai due Servizi (SISMi e SISDe) istituiti dalla legge n. 801 del 1977; in secondo luogo al CESIS, organo di coordinamento tra i Servizi, di analisi e di elaborazione delle situazioni; in terzo luogo alle strutture minori (SIOS) che svolgono attività di informazione in ambito militare (ai sensi dell'articolo 5 della stessa legge) (6) ; in quarto luogo, al Centro elaborazione dati (CED) del Ministero dell'interno, sul quale il Comitato è tenuto ad esercitare il proprio controllo, in base alla legge n. 121 del 1981 (articolo 10) (7) .
In particolare, il Comitato ha affrontato i problemi connessi agli scopi ed alle forme dell'attività di intelligence nella lotta contro la mafia e i gruppi criminali organizzati. Com'è noto, il decreto-legge n. 345 del 29 ottobre 1991, convertito con modificazioni dalla legge n. 410 del 30 dicembre 1991, ha regolato l'attività informativa e di sicurezza del SISDe e del SISMi in questo campo ed ha previsto (articolo 2, comma 3) che il controllo su tali attività sia esercitato dal Comitato parlamentare. Per chiarire compiutamente i problemi legati a questo tipo di intelligence, anche al di là dei quesiti proposti ai responsabili politici e tecnici dei Servizi di informazione e sicurezza, è stata disposta in data 27 ottobre 1994 l'audizione del Direttore della Direzione investigativa antimafia (DIA).
Infine, attraverso la raccolta di elementi conoscitivi sulle competenze e sul funzionamento dell'UCSI, si sono messi a fuoco i rapporti tra questo Ufficio ed i Servizi di informazione e di sicurezza.


La legge n. 801 del 1977 configura per il Presidente del Consiglio la qualità di massimo responsabile politico della sicurezza del paese. Oltre ai poteri di direzione, attraverso i quali il Presidente mantiene l'unità dell'indirizzo politico e la omogeneità dell'azione di governo, a lui spetta, in questo campo, una peculiare potestà regolamentare che ha carattere di esclusività. Essa incide sui rapporti con i Ministri della difesa e dell'interno, dai quali rispettivamente dipendono il SISMi e il SISDe, e si riflette direttamente sull'ordinamento di questi due Servizi, nonché sui poteri e sulla struttura del Comitato esecutivo per i Servizi di informazione e di sicurezza (CESIS).
Spetta inoltre al Presidente del Consiglio il potere di controllare l'applicazione dei criteri relativi all'apposizione del segreto di Stato. L'articolo 12 della legge fissa l'ambito di riferimento della segretazione ed evoca sommariamente i valori ai quali essa si riconduce, dando rilievo alla dimensione internazionale. È infatti qui stabilito che siano coperti da segreto tutti quei documenti la cui diffusione sia idonea a recare danno alla integrità dello Stato (di questo concetto che designa un bene primario, la norma sottolinea la correlazione con gli accordi internazionali), poi alla difesa delle istituzioni che la Costituzione ha posto come fondamento dello Stato, al libero esercizio delle funzioni costituzionali, all'indipendenza (nozione non dissimile da quella di integrità), alle relazioni con altri Stati (il che sottintende ancora una volta criteri fissati in accordi internazionali), alla preparazione e difesa militare dello Stato. Come si vede, l'elencazione è assai generica e tale da consentire un'amplissima discrezionalità. (8) Vi è da sottolineare, nell'indicazione di questi criteri, uno sbilanciamento. Accanto ad una serie di formule normative astratte e di contenuto non prefissato (difesa delle istituzioni, indipendenza dello Stato eccetera), alle quali deve ricondursi la nozione di segreto, si trova il riferimento agli accordi internazionali che rinvia invece ad una fonte normativa diretta. Essa definisce e limita l'idea stessa di integrità dello Stato. E una regolamentazione precisa e vincolante che deriva dalle decisioni e dalle norme assunte entro il sistema di alleanze di cui l'Italia fa parte.


La nozione onnicomprensiva di «segreto di Stato" non è nuova, perché già figurava nell'articolo 261 del codice penale (il quale prevede e punisce la "rivelazione di segreti di Stato"). La norma codicistica assumeva come parametro l'interesse della sicurezza dello Stato o comunque l'interesse politico interno o internazionale dello Stato (cfr. articolo 256 c.p.).
La varietà di contenuti e di implicazioni di questo concetto, fatto proprio dalla legge n. 801 del 1977, che (a parte il richiamo agli accordi internazionali) rende vaghi e difficilmente controllabili i criteri della segretazione, è già stata criticata dalla dottrina: «è un calderone in cui si trovano affastellati segreto politico e segreto militare» (9) .
D'altro canto, in quella legge ed in particolare nell'articolo 12, manca un'abrogazione esplicita del Regio decreto legislativo n. 1161 dell'11 luglio 1941, recante «Norme relative al segreto militare». Anzi, la stessa legge n. 801 del 1977, all'articolo 18, riconduce le disposizioni del codice penale concernenti il segreto politico interno o internazionale alla definizione di segreto che essa ha posto, ma lo fa in via temporanea, fissando espressamente un obiettivo ed un impegno per il legislatore: quello della «emanazione di una nuova legge organica relativa alla materia del segreto». Ciò conferma la vigenza ancora attuale delle norme risalenti al 1941 che infatti coprono, all'interno della nozione più ampia, l'ambito specifico del segreto militare. Ma il Regio decreto legislativo del 1941 offre una definizione ed una disciplina del segreto militare, in relazione a finalità belliche, evidentemente eccezionali, limitate nel tempo e in un contesto di straordinarietà che è incompatibile con i principi costituzionali. (10)
Resta invece tuttora fermo il meccanismo fondamentale di quel provvedimento. Si tratta di norme lontane nel tempo, improntate ai principi di un ordinamento militare che viveva una esperienza di guerra, in un regime autoritario. Ma nonostante tutto ciò queste norme costituiscono ancora oggi un punto di riferimento fondamentale nella disciplina giuridica del segreto. L'attento esame di alcune di esse può mostrare quale sia la continuità dell'assetto attuale con quello anteriore alla Costituzione e certamente lontano dai suoi valori guida.
L'articolo 1 prevedeva un divieto di divulgazione di notizie concernenti le amministrazioni militari e gli enti statali preposti alla produzione bellica (comma 1): notizie di cui erano elencate più specificamente le materie in un allegato al decreto. Veniva adottato, in tal modo, un criterio oggettivo per la predeterminazione del segreto. Ma immediatamente dopo si introduceva una regola di diversa natura, che possiamo definire soggettiva, in quanto rimandava tutto alla decisione dell'autorità, rendendo possibile una dilatazione del segreto.
«Mediante separati provvedimenti - così stabiliva l'articolo 1, comma 2 - da portarsi a conoscenza del pubblico ed anche con semplice diffida agli interessati qualora il divieto debba imporsi soltanto a determinati Enti e persone, l'Autorità competente può estendere il divieto di divulgazione anche a notizie non indicate nell'allegato». In base all'insieme delle norme del decreto, sembra che l'Autorità competente sia rappresentata dagli organi del potere esecutivo che di volta in volta intervengono. Ciò pone una esigenza di raccordo su cui le norme del 1941 non dicevano nulla.
All'articolo 8, il decreto stabiliva: «Spetta ai singoli Ministeri e al Sottosegretario di Stato per le fabbricazioni di guerra di curare l'osservanza delle presenti norme da parte dei loro organi, nonché degli Enti o delle persone comunque sottoposte alla loro ingerenza o controllo con facoltà di adottare le ulteriori misure che ritengono necessarie per la tutela del segreto».
Dunque si prevedeva, nel 1941, un sistema di autorità, all'interno del potere esecutivo, competenti alla segretazione ed alla tutela del segreto ed operanti al di fuori di qualsiasi controllo, indipendentemente da ogni predeterminazione di criteri oggettivi ai quali attenersi nel proprio operare.
Lo stesso identico meccanismo si ritrova, con una puntuale specificazione, in alcune norme secondarie riservate, oggi vigenti. Anche queste definiscono un sistema costituito da molteplici autorità, individuate in tutte le branche della Pubblica amministrazione: un insieme di organi competenti all'apposizione del segreto ed alla sua tutela, sia in campo militare sia in campo civile.
Il sistema, caratterizzato da massima discrezionalità, nel quale assumono una posizione di primo piano i criteri e le direttive di segretezza stabiliti da accordi internazionali, fa capo teoricamente al Presidente del Consiglio, ma di fatto ha al proprio vertice un alto funzionario della Pubblica amministrazione. L'autorità politica di governo ha per lungo tempo delegato i poteri relativi a tale sistema. Le decisioni autoritative restano il vero fondamento per la determinazione e la protezione del segreto. Ma ciò avviene in presenza di una deresponsabilizzazione dell'autorità politica. Il Comitato parlamentare osserva che questo meccanismo non è sottoposto ad alcun serio controllo. In ordine al sistema del segreto, le garanzie di rispondenza ai principi costituzionali sono quelle fissate dalla legge n. 801 del 1977 che lascia in vita il Regio decreto legislativo del 1941 e poco aggiunge quanto alla determinazione del segreto, affermando in sostanza che la principale fonte normativa sono gli accordi internazionali. Si tratta di garanzie deboli e del tutto insufficienti.


I poteri del Presidente del Consiglio in materia di Servizi di informazione e di sicurezza sono stati, dal 1977 ad oggi, oggetto di una duplice delega. Da un lato vi è stata una delega prevista dalla legge n. 801 del 1977. L'articolo 3, comma 3, della legge stabilisce infatti che un sottosegretario di Stato possa presiedere il CESIS in luogo del capo del Governo. Questa delega è stata conferita soltanto per alcuni periodi. Formalmente limitata al dettato dell'articolo 3 già ricordato, essa si è esplicata, al di là del compito specifico di presiedere il CESIS, in una serie di singole disposizioni del Presidente del Consiglio, che affidavano ad un sottosegretario il compimento di atti relativi ai poteri di coordinamento della politica informativa e di sicurezza. I confini della delega sono sempre stati incerti, anche in relazione alla non chiara definizione dei poteri del Segretario generale del CESIS.
I Sottosegretari a cui è stata data la delega sono stati: l'onorevole Francesco Mazzola, nel Governo Andreotti, dal 20 marzo 1979 al 31 marzo 1979, nel Governo Cossiga, dal 4 agosto 1979 al 19 marzo 1980, in un successivo Governo Cossiga, dal 4 aprile 1980 al 28 settembre 1980, e nel governo Forlani, dal 18 ottobre 1980 al 26 maggio 1981; l'onorevole Michele Zolla, nel Governo Fanfani dal 1° dicembre 1982 al 2 maggio 1983; l'onorevole Nicola Sanese, nel Governo Fanfani, dal 17 aprile 1987 al 28 aprile 1987; l'onorevole Angelo M. Sanza, nel Governo De Mita, dal 13 aprile 1988 al 18 dicembre 1988; l'onorevole Emilio Rubbi, dal 5 gennaio 1989 al 22 luglio 1989.
La più lunga permanenza è stata quella dell'onorevole Mazzola, per la durata di quattro governi e in una fase nella quale si determinarono gravi deviazioni dei Servizi di informazione e di sicurezza (dalla vicenda della P2 all'insediamento ai vertici del SISMi di un gruppo di potere parallelo all'apparato di sicurezza e protagonista di attività illegittime, fino alla vicenda delle trattative con Cutolo e con le Brigate rosse per il sequestro Cirillo). La delega allora non evitò le deviazioni. I poteri di coordinamento affidati ad un Sottosegretario, nei ristretti limiti consentiti dalla legge n. 801 del 1977, non offrirono alcuna garanzia di un effettivo controllo politico sulla condotta dei Servizi. Da una delega così ristretta ed incerta non poteva scaturire una compiuta vigilanza né un potere di guida dell'attività dei Servizi. Peraltro, le deviazioni non furono affatto individuate neanche dai Ministri competenti, da cui i Servizi direttamente dipendevano.
Accanto a questa delega (di rilievo politico e di scarsa funzionalità) se ne è venuta configurando nella prassi un'altra, non prevista dalla legge, di natura tecnica. Così, quasi senza interruzioni, i Presidenti del Consiglio hanno attribuito l'effettivo esercizio dei poteri concernenti la tutela del segreto di Stato (di cui all'articolo 1, comma 2, della legge n. 801 del 1977) ad un alto funzionario che ha assunto la denominazione di "Autorità nazionale per la sicurezza" (ANS).
Questa figura non è prevista nella legge n. 801 del 1977, che assegna al Presidente del Consiglio la titolarità dei poteri in ordine al segreto di Stato, e ne definisce all'articolo 12 (sia pure con l'incertezza ed i limiti che abbiamo sopra segnalato) la sfera delle possibili applicazioni.
In realtà, la denominazione di Autorità nazionale per la sicurezza era anteriore alla legge. Essa indicava le funzioni relative all'apposizione ed alla tutela del segreto. Queste funzioni erano tradizionalmente esercitate dal vertice del Servizio segreto militare.
Alcuni accordi in ambito NATO ne hanno regolato l'esercizio nei rapporti tra il Governo italiano e i Governi dei paesi alleati. Si è realizzato così un innesto. Gli accordi internazionali hanno definito un sistema di segretazione relativo a documenti ed informazioni, che nell'ordinamento italiano poteva essere ricondotto sia al Regio decreto legislativo del 1941 sia alle previsioni del codice penale. Le norme regolamentari riservate hanno poi compiutamente disciplinato il sistema interno del segreto. Ad esse si deve la costruzione della figura soggettiva denominata Autorità nazionale per la sicurezza.
In realtà, se si guarda oltre lo schermo delle forme giuridiche, ci si accorge che le norme regolamentari dipendono direttamente dagli accordi internazionali.
Ciò risulta dal testo del Security Agreement by the Parties to the North Atlantic Treaty, dalle norme di sicurezza (Basic Principles and Minimum Standards of Security) e dalle Security Procedures for the Protection of NATO classified Information (NATO Document CM 55 15 Final). Tali norme erano state approvate dal Consiglio atlantico il 2 maggio del 1955. In esse, tra l'altro, gli Stati membri si impegnavano ad istituire ciascuno una Autorità nazionale per la sicurezza che curasse la tutela delle informazioni NATO classificate e fosse in stretto collegamento con l'Ufficio NATO per la sicurezza.
Tra questi principi di sicurezza vi sono anche le norme che costituiscono la base del regime dei Nulla osta di segretezza. (11)
E' da ricordare come fonte più recente un Exchange of notes (with annex) constituting an agreement relating to the safeguarding of classified information, Washington, 4 august 1964. Si tratta di un accordo firmato dal Segretario di Stato americano Dean Rusk e dall'ambasciatore d'Italia Sergio Fenoaltea. In esso si estendono a tutte le informazioni classificate scambiate tra i due Governi gli stessi principi che questi avevano precedentemente concordato di applicare per la salvaguardia delle informazioni classificate protette dal Security Agreement tra i membri dell'Alleanza atlantica, approvato dal Consiglio atlantico il 6 gennaio 1950. Contemporaneamente si richiamano i Basic Principles and Minimum Standards of Security, approvati dal Consiglio il 2 maggio 1955.
Dunque, l'Autorità nazionale per la sicurezza è una figura che ha avuto origine entro l'organizzazione NATO.
Nell'ordinamento italiano essa è stata soltanto recepita da circolari riservate. Dopo il 1977, la situazione di fatto si è mantenuta identica, pur essendo mutato il regime legislativo (ma senza l'abrogazione del Regio decreto legislativo del 1941 e con una piena continuità delle norme regolamentari, mentre restano in vigore gli accordi internazionali da cui queste dipendono).
Sono appunto gli effettivi poteri di tutela del segreto ad essere costantemente delegati, a cominciare dalla responsabilità dell'Ufficio centrale per la sicurezza (UCSI) che ha il compito di dirigere, coordinare e controllare l'applicazione delle norme di sicurezza nella Pubblica amministrazione, in base ad accordi NATO e comunitari, nonché di determinare regole e procedure per la tutela del segreto. Sia la delega, sia la struttura ed il funzionamento di questo Ufficio sono oggi regolati da circolari riservate della presidenza del Consiglio dei Ministri: due in particolare, emanate dal presidente del Consiglio Francesco Cossiga, in data 23 novembre 1979 e 5 gennaio 1980. Esse recepiscono, lasciandole sostanzialmente intatte, le «Norme unificate per la tutela del segreto», già raccolte ed approvate nel 1973 dal generale Vito Miceli, allora capo del SID, in qualità di Autorità nazionale per la sicurezza.
Nelle norme riservate che hanno oggi come fonte formale la Presidenza del Consiglio, la tutela del segreto passa attraverso la individuazione, la collocazione e l'attivazione presso tutte le amministrazioni dello Stato di organi preposti a tale delicato settore. Si delinea così una subamministrazione per la tutela e la gestione del segreto, che dipende dall'Autorità nazionale per la sicurezza e che non è regolata da alcuna legge. In questa si fondono i due concetti convergenti di sicurezza e di tutela del segreto.
In base alla delega, i poteri che la legge assegnava in via esclusiva al Presidente del Consiglio sono stati, salvo un breve intervallo, affidati ad un organo non politico. Occorre sottolineare che si è trattato e si tratta di un organo interno al circuito istituzionale dei Servizi.
Il Comitato parlamentare osserva che un elemento di debolezza della legge n. 801 del 1977 (nonostante il proposito di introdurre garanzie) è proprio nel fatto di non avere compiutamente regolato ex novo i poteri del Presidente del Consiglio relativi all'apposizione ed alla tutela del segreto di Stato, con la relativa organizzazione amministrativa, e di non averli distinti dalle funzioni e dalla organizzazione dei Servizi di informazione e di sicurezza.


L'assenza di una distinzione tra le funzioni attinenti al segreto di Stato e quelle dei Servizi di informazione e di sicurezza è ereditata dalla prassi, dalle circolari riservate e dalla disciplina legislativa anteriore alla legge n. 801 del 1977. Prima di questa infatti non vi era una normativa che stabilisse con precisione i compiti dei Servizi di informazione e di sicurezza né una disciplina legislativa della loro struttura.
Il DPR n. 1477 del 18 novembre 1965 fu emanato prima che venissero alla luce gli episodi degenerativi dei primi anni 60 e in particolare del luglio 1964, nei quali si era manifestato un uso distorto degli apparati di sicurezza. Rispetto a quegli abusi non si può dire che il decreto fornisse garanzie o sbarramenti. Regolando l'ordinamento dello Stato maggiore della difesa e degli Stati maggiori delle tre armi, esso assegnava, tra l'altro, al Capo di stato maggiore il compito di sovraintendere al Servizio unificato di informazioni delle forze armate. Questo - secondo la norma del 1965 - doveva provvedere «a mezzo dei propri reparti, uffici e unità, ai compiti informativi di tutela del segreto militare e di ogni altra attività di interesse nazionale per la sicurezza e la difesa del paese, attuando anche l'opera intesa a prevenire azione dannosa al potenziale difensivo del paese». Si trattava di una sorta di controllo interno all'apparato militare.
La norma non incideva sulle competenze del responsabile del Servizio segreto militare, che aveva un potere di direzione e di organizzazione delle strutture nonché di determinazione e tutela del segreto. A lui spettava il titolo di Autorità nazionale per la sicurezza che, dopo il 1977, sarebbe stato usato per qualificare il funzionario a cui andava la delega del Presidente del Consiglio.
Mentre al Capo di stato maggiore della difesa il DPR n. 1477 del 18 novembre 1965 affidava il compito di sovraintendere al Servizio, contemporaneamente determinava, in via legislativa, gli ambiti di azione di questo, mantenendo strettamente legate le attività di informazione, di sicurezza, di tutela del segreto.
In questo quadro, il riferimento ad «ogni altra attività di interesse nazionale per la sicurezza e la difesa del paese» (indicata come un bene da tutelare), se confrontato con il più limpido e tradizionale concetto della «difesa della patria», che coincide con un valore costituzionale, appariva generico e rischioso, in quanto idoneo a fornire possibili coperture ad attività di tipo politico (indagini, schedature, altre iniziative extra istituzionali), che si sono largamente verificate nella esperienza dei Servizi.
La legge n. 801 del 1977 ha introdotto una significativa novità, riconducendo l'insieme di questi poteri al Presidente del Consiglio, separando il Servizio segreto interno da quello militare e definendo le attività di entrambi secondo canoni più rispondenti al dettato costituzionale. (12)
Ma poi, nell'applicazione pratica, le innovazioni sono risultate parziali e inadeguate. In particolare, il potere del Presidente del Consiglio in ordine al segreto di Stato, a causa della delega, ha finito con l'essere nulla di più di un potere di sovraintendere, come quello che era stato proprio del Capo di stato maggiore della difesa (finché era in vigore, nella sua interezza, il DPR n. 1477 del 18 novembre 1965).


Il sistema addetto alla gestione del segreto di Stato, che ha propri terminali in ogni branca della Pubblica amministrazione, è stato in questi anni, di fatto, un prolungamento dei Servizi di informazione e di sicurezza, guidato da una figura di vertice di questi apparati.
Dalla fase di prima applicazione della legge n. 801 del 1977 fino al 1991, destinatario della delega è sempre stato il Direttore del SISMi. Dal gennaio 1978 all'agosto 1981, il generale Giuseppe Santovito; dall'agosto 1981 al maggio 1984, il generale Ninetto Lugaresi; dal maggio 1984 al febbraio 1991, l'ammiraglio Fulvio Martini. Tra il febbraio e il luglio del 1991 le funzioni di Autorità nazionale per la sicurezza sono state esercitate direttamente dal Presidente del Consiglio. Si trattava dell'onorevole Giulio Andreotti e questa decisione intervenne all'indomani di una crisi nei rapporti tra il Capo del Governo ed il vertice del SISMi, durante i mesi nei quali veniva resa pubblica l'esistenza della struttura clandestina Gladio, tra notizie e valutazioni contraddittorie.
L'onorevole Andreotti censurò allora pubblicamente l'ammiraglio Martini, che subito dopo lasciò la direzione del Servizio, per avere impartito direttive, proprio in ordine a Gladio, all'insaputa dell'autorità di governo, venendo meno ad un dovere di informazione e di lealtà. Al di là della valutazione formulata sull'operato dell'ammiraglio Martini, l'onorevole Andreotti introdusse una rilevante innovazione, evidentemente volta a limitare il peso istituzionale assunto dal SISMi e dal suo vertice. Questo Servizio disponeva di un surplus di potere, rispetto agli altri apparati di intelligence, che si manifestava fondamentalmente in due direzioni: da una parte la guida ed il controllo di attività non ortodosse, come quelle di Stay behind, assai scarsamente controllate dalle autorità politiche di governo e note solo ad alcune di esse; dall'altra la posizione sovraordinata rispetto al complesso di organi della Pubblica amministrazione preposti alla gestione del segreto di Stato e, di conseguenza, il potere di impartire direttive a questa sorta di subamministrazione. Il presidente del Consiglio Andreotti agì nel 1991 per limitare l'influenza del SISMi in entrambe le direzioni. Soppresse Gladio e spostò fuori del SISMi i poteri di Autorità nazionale per la sicurezza.
Nel luglio 1991, con una nuova delega, i poteri di Autorità nazionale per la sicurezza sono stati assegnati all'ambasciatore Francesco Paolo Fulci, Segretario generale del CESIS, che ha operato con l'intenzione di separare l'UCSI dal Servizio segreto militare, e quindi ancora sulla linea di un contenimento di questo.
Dall'aprile 1993 al luglio 1994 destinatario della delega è stato il generale Giuseppe Tavormina, Segretario generale del CESIS.
Dal luglio 1994 ad oggi, destinatario è il prefetto Umberto Pierantoni, Segretario generale del CESIS.
Mai è avvenuto che la seconda delega (gestione del segreto) si assommasse alla prima, relativa al coordinamento tra i Servizi. La dissociazione tra effettivo esercizio dei poteri relativi al segreto di Stato (comprendendo tra questi anche la guida e il controllo dell'UCSI) e la responsabilità politica generale del Presidente del Consiglio è stata una costante dal 1977 ad oggi. Questa dissociazione ha contribuito, da un lato, a rendere più incerto il controllo politico sul sistema dell'informazione e della sicurezza e, dall'altro, a mantenere in una zona d'ombra, priva di regole certe e sottratta alla conoscenza del Parlamento, le specifiche funzioni dell'Autorità nazionale per la sicurezza, a cominciare dalle attività riservatissime e di grande delicatezza svolte dall'UCSI, anch'esse al di fuori di qualsiasi norma legislativa.


Il Ministro della difesa e il Ministro dell'interno stabiliscono l'ordinamento e curano l'attività rispettivamente del SISMi e del SISDe, sulla base delle direttive e delle disposizioni impartite dal Presidente del Consiglio. Sono responsabili politicamente della struttura e dell'operato dei due Servizi, nell'ambito di indirizzi e sulla base di regole unitarie, di cui in ultima istanza risponde il Capo del Governo. è questa la ragione del rapporto diretto, fissato dalla legge, tra Comitato parlamentare di controllo e Presidente del Consiglio. Egli è, infatti, il primo interlocutore diretto dell'organo parlamentare. A lui ed al Comitato interministeriale di cui all'articolo 2 della legge n. 801 del 1977 si indirizzano le richieste di informazioni.
Tale è il circuito formale che consente il controllo e ne segna i limiti. Nella prassi, anche andando al di là della informazione sulle linee essenziali che può essere fornita dal Presidente, l'organo parlamentare ha, da tempo, realizzato un rapporto diretto con i due Ministri e con i responsabili tecnici dei vari apparati. Ciò ha determinato una estrema articolazione nell'assunzione di conoscenze e nella richiesta di notizie e documenti, anche se il Comitato non dispone di alcun potere formale di acquisizione diretta. Anzi, proprio con i responsabili tecnici si è tentato di intensificare sempre di più il dialogo, per conoscere l'organizzazione e le linee di attività dei Servizi, per rimuovere inconvenienti e possibili fattori di deviazione.


Il Comitato ha dovuto registrare carenze e ritardi che segnala al Parlamento.
Non è stata possibile, nonostante le sollecitazioni, l'audizione del Presidente del Consiglio, onorevole Silvio Berlusconi È una consuetudine in genere rispettata ad ogni inizio di legislatura che corrisponde all'esigenza di conoscere le direttive politiche in questo settore. È così mancato il quadro di riferimento e l'indirizzo generale che il presidente del Consiglio avrebbe dovuto illustrare. Né si sono potuti approfondire i problemi riguardanti la disciplina del segreto di Stato e le funzioni di Autorità nazionale per la sicurezza.


Il rapporto con il Ministro della difesa, dal quale dipende il SISMi, si è sviluppato secondo modalità non soddisfacenti.
Il Ministro, onorevole Cesare Previti, è stato ascoltato in due audizioni. Non è stato possibile attuare un vero e proprio confronto al di là delle comunicazioni scritte che il Ministro ha depositato le quali contenevano delle lacune. Il Ministro non ha spiegato i motivi che hanno suggerito l'avvicendamento al vertice del SISMi, nel luglio del 1994.


Il contributo del Ministro dell'interno, dal quale dipende il SISDe, rispetto alle esigenze di informazione del Comitato è stato esauriente per certi aspetti e carente per altri.
Il Ministro, onorevole Roberto Maroni, è stato ascoltato in due successivi incontri. Ha fornito notizie sulla struttura e sulle attività del SISDe, sulla sua organizzazione nel territorio nazionale, sulle modalità del controllo politico, sugli archivi (dei quali ha sottolineato le anomalie), sui rapporti fra SISDe ed UCSI (formulando un giudizio critico circa questo Ufficio e circa le attuali procedure di rilascio dei «Nulla osta di segretezza»). Ha illustrato le ragioni che lo avevano indotto a decidere la sostituzione del Direttore del SISDe ed ha esposto gli indirizzi generali fissati per il Servizio, soffermandosi tra l'altro sull'incarico, affidato al nuovo responsabile, prefetto Gaetano Marino, di riorganizzare l'assetto interno ed in particolare gli archivi.
Tuttavia, il ministro Maroni non ha dato seguito ad un qualificante impegno da lui assunto nei confronti del Comitato. Si deve infatti ricordare che il 12 luglio 1994, rispondendo ad alcune interrogazioni di fronte all'assemblea del Senato, egli aveva rivelato l'esistenza di attività illegittime nell'ambito del Servizio, volte alla raccolta di informazioni concernenti uomini politici, partiti, associazioni. «Per quanto riguarda... l'analisi delle concrete attività messe in opera da alcuni componenti del SISDe - aveva annunciato - emergono comportamenti non in linea con quanto previsto dalla legge: gli accertamenti compiuti hanno messo in rilievo l'esistenza di numerosi fascicoli intestati a uomini politici e partiti rappresentati in Parlamento». Questo annuncio, già anticipato sulle pagine dei giornali, era tale da suscitare preoccupazione e scalpore. «Alcuni di questi fascicoli - proseguiva il Ministro - sono stati impiantati nel corso dell'attuale gestione, vale a dire a partire dal 10 agosto 1993; altri fascicoli, impiantati anteriormente a tale data, sono stati tuttavia integrati da documentazione pervenuta successivamente alla data di inizio della gestione dell'attuale direttore.
La legge non mi consente di dare alcuna indicazione circa il contenuto dei dossiers innanzi citati; mi limito a comunicare che essi verranno consegnati nelle mani del Presidente del Comitato parlamentare di controllo istituito dalla legge n. 801 del 1977 non appena egli verrà eletto, continuando nel frattempo ad essere da me personalmente custoditi».
La intenzione di affidare al Comitato la custodia di quei fascicoli irregolari appariva per la verità discutibile. Restavano comunque aperti due problemi. Fino a che punto erano giunte quelle attività illegittime? E quali iniziative occorreva assumere per accertare le responsabilità, per espellere dal Servizio chi aveva svolto attività in contrasto con i propri compiti istituzionali?
In quella medesima circostanza, il Ministro rendeva noto al Senato l'avvicendamento ai vertici tecnici del Servizio e la nomina del nuovo Direttore. «I nuovi vertici del Servizio di informazione civile, non appena insediati - aggiungeva - procederanno all'attuazione di una serie di attività già concordate, tra cui merita particolare rilievo la profonda revisione delle procedure di controllo attualmente adottate, con l'obiettivo di garantire l'assoluta rispondenza dell'attività di ogni singolo dipendente del SISDe ai principi stabiliti dalla legge e dalle numerose disposizioni regolamentari attuative via via emanate ma troppo spesso rimaste inapplicate». Con ciò egli confermava che la formazione di quei fascicoli era dovuta alla mancanza di un corretto controllo politico e all'inosservanza delle norme vigenti.
Dopo il 15 settembre 1994, il Comitato ha più volte, tramite il Presidente, chiesto al Ministro dell'interno di trasmettere una dettagliata relazione sul complesso documentale formato dal SISDe, a cui l'onorevole Maroni aveva fatto riferimento. Questa relazione avrebbe dovuto segnalare le irregolarità commesse, i livelli di responsabilità e le ipotesi di comportamento sleale nella formazione dei fascicoli intestati ad esponenti politici e a partiti rappresentati in Parlamento. Avrebbe dovuto perciò rappresentare un essenziale contributo al lavoro di ricognizione e di analisi condotto dal Comitato, portando alla luce, nei suoi connotati e nelle sue cause, una inammissibile deviazione rilevata dal Ministro nel SISDe.
Non è da trascurare, al riguardo, che in una intervista, resa al Corriere della sera il 6 novembre 1994, il sottosegretario all'interno onorevole Maurizio Gasparri riproponeva la questione dei fascicoli, sottolineando polemicamente che essi riguardavano soltanto alcune parti politiche, ma affermando in conclusione che tutto ciò apparteneva al passato. A proposito di tali affermazioni, il Ministro ha dichiarato davanti al Comitato, nell'audizione del 6 dicembre 1994, che il Sottosegretario aveva preso visione soltanto del fascicolo a lui stesso intestato e non conosceva gli altri, se non per i nomi delle persone e dei partiti interessati. Nient'altro è stato comunicato al Comitato. Non si sa se altre autorità politiche abbiano visto i fascicoli nè se ad essi sia stata data una particolare classificazione di segretezza.
Nonostante le ripetute sollecitazioni e le assicurazioni del Ministro ribadite in entrambi gli incontri con il comitato, si deve rilevare che l'organo parlamentare non è stato messo in condizione di conoscere quali fossero gli scopi e la consistenza delle attività in contrasto con le leggi, né di conoscere quali settori o singoli componenti del SISDe ne siano responsabili. Le tre pagine di informazione sulla vicenda, inviate dal Ministro in data 13 gennaio 1995 (quattro giorni prima che prestasse giuramento il nuovo Governo), non rispondono compiutamente ai quesiti che erano stati proposti. Il Ministro ripete quanto già aveva affermato davanti al Senato: «Per quanto attiene al contenuto dei fascicoli, posso dire che alcuni di essi sono stati predisposti per esigenze connesse alla tutela dell'esponente politico a nome del quale sono stati impiantati, anche se nessuna tempestiva informazione di questa attività è stata data all'interessato». Aggiunge inoltre: «il contenuto di questi fascicoli è generalmente di per sé non significativo». Su di esso egli fornisce, in poche parole, un ragguaglio non analitico né esauriente, ma insiste nel ritenere quell'attività grave e censurabile, senza peraltro indicare se siano stati presi provvedimenti e quali nei confronti di chi l'aveva posta in essere.
Così, una vicenda oscura, come quella della raccolta di informazioni riservate relative a personalità politiche e a partiti, è stata resa di pubblico dominio, ma senza spiegare la esatta portata dei comportamenti che venivano segnalati come illegittimi. Né si è fatta chiarezza nelle sedi istituzionali. Il Comitato ha chiesto di accertare i fatti, di rimuovere i responsabili, di distruggere i fascicoli irregolari. Nulla di tutto ciò è avvenuto. Sono invece rimaste inquietanti ombre non diradate e i dossiers giacenti presso il Ministero dell'interno restano noti solo ad alcuni, mentre sull'intera vicenda possono tornare a riproporsi le polemiche, con evidente danno alla credibilità dei Servizi.
La inadeguatezza complessiva degli apporti forniti dal Governo ha dunque reso più difficile e, per quanto riguarda gli indirizzi generali, approssimativa l'attività di controllo del Comitato parlamentare.


Riguardo alla affidabilità dei componenti dei Servizi ed ai rischi di comportamenti illegittimi, il Comitato prende atto di due diverse valutazioni formulate dal Ministro della difesa e dal Ministro dell'interno, rispettivamente a proposito del SISMi e del SISDe.
Il Ministro della difesa ha infatti affermato: «In definitiva il SISMi, così come è articolato, con le responsabilità e con le competenze definite, con la specificità di ciascuna articolazione, con la subordinazione e le connesse attività di controllo ai diversi livelli, non può essere soggetto a disfunzioni e/o deviazioni... Non escludo che qualcuno possa sbagliare; ma ciò è del tutto casuale e l'articolazione dell'organismo di cui ho precedentemente detto fa sì che l'errore umano sia ininfluente sulla sicurezza dello Stato». (13)
E' da ricordare che in un passato recente (meno di due anni fa) la necessità di un rinnovamento all'interno del SISMi era stata affermata più volte dal ministro della difesa Fabbri e dallo stesso Presidente del Consiglio. Ciò aveva condotto ad avviare un vero e proprio piano di ristrutturazione. Il direttore del SISMi, generale Sergio Siracusa, ha fornito al Comitato notizie sull'attuazione di quel piano, riconoscendone la validità.
Il Ministro dell'interno ha dichiarato: «È difficile avere la certezza matematica che non sia rimasto qualcuno all'interno del SISDe che abbia mantenuto qualche collegamento con ambienti estranei all'attività istituzionale del Servizio... Sarebbe facile chiedere di sciogliere il SISDe e di arruolare tutta gente nuova in un Servizio nuovo, ma non è possibile e dobbiamo invece verificare i singoli episodi dai quali dobbiamo imparare. Ho la certezza e la garanzia assoluta che i nuovi vertici del SISDe stanno lavorando in questo senso. Non ho la certezza assoluta nè la garanzia totale che in tutto l'apparato del SISDe tutti gli uomini attualmente in forza - nessuno escluso - sono in grado di fornire tali garanzie». (14) Su questa base il Ministro dichiarava di aver dato incarico ai nuovi dirigenti di denunciare e sanare le situazioni di irregolarità.


Nonostante le carenze e i ritardi manifestati dalle autorità politiche di governo, ampia è stata la disponibilità dei nuovi vertici tecnici dei Servizi, che hanno finora assicurato un fattivo contributo ai lavori del Comitato.
I giudizi da loro formulati in ordine al grado di affidabilità dei componenti dei Servizi ed alla legalità del loro modus operandi sono in genere tranquillizzanti.
Il Comitato considera positivamente i propositi di risanamento e di rinnovamento espressi dai Direttori del SISMi e del SISDe ed assume l'impegno ad una costante verifica circa la coerenza degli indirizzi e la loro realizzazione concreta. (15)
Ma è certo che già in passato sono state fornite all'organo parlamentare di controllo assicurazioni poi clamorosamente smentite dai fatti. Ciò rende necessario prendere in esame le cause istituzionali e le occasioni che hanno a più riprese determinato la degenerazione di questi apparati.


La legge n. 801 del 1977 ha istituito due Servizi con funzioni distinte, in luogo della struttura unica militare, che c'era stata anteriormente.
Il primo è il Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMi), che dipende dal Ministro della difesa. In base all'articolo 4 della legge, esso assolve a tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa sul piano militare dell'indipendenza e della integrità dello Stato da ogni pericolo, minaccia o aggressione. Inoltre, agli stessi fini, svolge compiti di controspionaggio.
Il secondo è il Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (SISDe), che dipende dal Ministro dell'interno. In base all'articolo 6 della legge, esso assolve a tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa dello Stato democratico e delle istituzioni che la Costituzione ha posto a suo fondamento contro chiunque vi attenti e contro ogni forma di eversione. La portata della novità introdotta dalla legge n. 801 del 1977 è chiara. Al Servizio di informazione e di sicurezza militare si intendevano sottrarre i compiti finalizzati alla sicurezza interna che, nell'ambito di una equivoca interpretazione delle funzioni dell'apparato militare, erano stati storicamente e a più riprese fonti di deviazioni. Ma non sembra che il rimedio sia stato sufficiente.
Le funzioni di entrambi questi apparati sono indicate con l'espressione «compiti informativi e di sicurezza». A giudizio del Comitato parlamentare, l'espressione appena menzionata non può e non deve intendersi nel senso di individuare due funzioni dei Servizi, separate e distinte. Essa è piuttosto una endiadi, per la quale la ricerca di informazioni deve interpretarsi come finalizzata alla sicurezza dello Stato. Non sono ammissibili azioni di sbarramento o di controspionaggio che si traducano nell'uso di mezzi coattivi, contro la legge. Con l'espressione «compiti informativi e di sicurezza» si vuole indicare la finalizzazione dell'attività di ricerca e di raccolta di informazioni (in gran parte presumibilmente riservate) alla tutela della sicurezza dello Stato.
A questo proposito, il direttore del SISMi, generale Sergio Siracusa, ha dichiarato davanti al Comitato parlamentare: «...gli organismi di informazione e sicurezza sono soprattutto produttori di informazioni. Ci sono informazioni di carattere generale ed informazioni rivolte alla sicurezza; tutto ciò che è "a valle", vale a dire che è applicazione, parte esecutiva, non fa parte della nostra attività. Ad esempio, se noi sappiamo che uno di quei signori della mafia è a Praga in un determinato appartamento non possiamo andare a catturarlo con una squadra, perché non rientra tra le nostre competenze e le nostre attività». (16)
Sulla base di tali considerazioni, il Presidente ha posto al Direttore del SISMi una domanda volta a definire i limiti dell'attività di controspionaggio: «Se c'è una spia di un paese straniero in Italia vengono raccolte le informazioni e si creano le condizioni per l'intervento della polizia giudiziaria, ma il SISMi non interviene direttamente. E così?». Il Direttore del SISMi ha risposto: «Sì, questa è la linea di demarcazione». (17)
Il Comitato ritiene che la linea di demarcazione sopra indicata debba essere tenuta ferma e che debba assolutamente evitarsi la creazione, all'interno dei Servizi, di nuclei speciali, costituiti per adempiere direttamente a funzioni di sicurezza o ad attività repressive.
Anche nel caso di garanzie funzionali per cui possano autorizzarsi - a determinate condizioni, come più avanti si proporrà (18) - singole attività in contrasto con norme di legge, poste in essere da soggetti appartenenti ai Servizi, per il perseguimento di primarie finalità istituzionali e nel quadro di un rigoroso sistema di controlli, i compiti di questi apparati devono comunque restare limitati all'attività informativa. Le garanzie funzionali - se ammesse - dovranno riferirsi esclusivamente alla ricerca di informazioni, sia sulle minacce esterne o interne alla sicurezza sia sull'attività informativa compiuta da soggetti esterni, a danno dello Stato.


Il SISMi dispone attualmente di un personale effettivo pari a 2.223 unità, sensibilmente inferiore al ruolo organico, stabilito con decreto del Presidente del Consiglio.
La ristrutturazione in corso prevede che da una organizzazione del Servizio fondamentalmente per materie si passi ad un assetto ordinato (secondo una linea verticale di ripartizione delle competenze) attorno alle funzioni cosiddette di ricerca e situazione (quest'ultima risultante dall'analisi e dalla valutazione dei dati informativi raccolti). Per quel che riguarda i Centri organizzati su scala territoriale, si è operato per garantire una rotazione dei responsabili, in modo da evitare, per il futuro, il fenomeno delle lunghe permanenze degli stessi funzionari alla guida di rilevanti centri periferici, che ha dato luogo, negli anni passati, ad una serie di inconvenienti.
Attualmente, il 13 per cento dei quadri direttivi del SISMi risulta proveniente dal SID (Servizio operante dal 1966 fino alla legge n. 801 del 1977 e coinvolto in gravi deviazioni). Si tratta di 62 unità. Dal SIFAR (organismo precedente al 1966) proviene invece lo 0,6 per cento dei quadri direttivi e si tratta di 3 unità.
Risulta da questi dati numerici una continuità con il passato, che riguarda le funzioni direttive (e quindi i gruppi di comando) all'interno del Servizio. Nel quadro della ristrutturazione, si segnalano:
a) l'avvenuto scioglimento della VII Divisione, in seguito agli accertamenti condotti in sede giudiziaria e parlamentare sulla struttura Gladio, sulle attività di Stay behind, sulle ipotesi di illegalità e soprattutto sulle anomalie derivanti dall'assenza di chiarezza e di responsabilità certe nel rapporto tra queste strutture e le autorità politiche di governo sovraordinate ad esse; (19)
b) la creazione di una Divisione che si occupa di criminalità organizzata;
c) la ridefinizione della mappa dei centri operanti all'estero.


Il SISDe dispone attualmente di un personale effettivo di 1.339 unità, inferiore al ruolo organico previsto, pari a 1.586 unità.
La specificità del Servizio si concreta nella funzione di difesa dello Stato democratico contro ogni forma di eversione costituzionale, difesa alla quale è strettamente collegata l'azione di contrasto alla criminalità organizzata, secondo il dettato della legge n. 410 del 1991. Questa connessione risulta tanto più essenziale, se si riflette sui caratteri assunti dall'attacco delle grandi associazioni di tipo mafioso nell'ultimo quindicennio. L'organizzazione denominata Cosa nostra è quella che più di altre ha fatto ricorso al terrorismo.
Anche di recente, nei gravi attentati della primavera-estate 1993, che pure erano destinati a lanciare avvertimenti piuttosto che a realizzare stragi, la componente eversiva ha avuto un forte rilievo. E vi sono elementi per ritenere che la matrice mafiosa non sia stata esclusiva.
Nello specifico settore, il SISDe deve assicurare l'apporto indispensabile di una intelligence a carattere generale e preventivo, capace di integrare le attività investigative condotte dalle forze di polizia e da strutture specializzate come la DIA.
L'attività informativa svolta dal SISMi in questo campo riguarda il versante estero e non deve sovrapporsi a quella del SISDe.
Il rinnovamento in atto nella organizzazione del SISDe prevede - il Comitato ritiene in modo coerente con il ruolo ora ricordato - un potenziamento dei Centri operativi periferici tale da rendere adeguato il controllo territoriale con la più razionale «copertura» delle sedi. Particolare cura deve essere posta nella scelta degli uomini che dirigono e compongono i Centri periferici, nelle regioni ove operano le strutture di vertice del sistema mafioso. Là dove i poteri criminali sono più forti e lo stesso controllo del territorio da parte dello Stato è messo in discussione, l'attività di intelligence è più ardua e facilmente si rischia - talvolta anche senza esserne consapevoli - di favorire i disegni e le strategie di intossicazione informativa della mafia.
Disegni e strategie che nella fase attuale tendono a svilupparsi ampiamente, come mostra la recente vicenda del cosiddetto dossier Di Maggio.
Dopo la crisi seguita alla vicenda dei fondi neri che si affronta in altra parte della relazione, il ridotto bilancio del SISDe privilegia la costituzione di un sistema informatico centralizzato nonché la predisposizione di misure intese alla riqualificazione del personale così da adeguarne la professionalità al "cambiamento culturale" che tende ad esaltare il momento dell'analisi e della ricerca.
Tale ultimo obiettivo deve, a giudizio del Comitato, impegnare particolarmente il SISDe che ha sempre risentito del modo certo insoddisfacente di reclutamento, di selezione e di formazione dei quadri, fin dal momento della costituzione del Servizio all'indomani della approvazione della legge di riforma del 1977.


Il Comitato esecutivo per i Servizi di informazione e sicurezza (CESIS) dispone attualmente di 202 unità, pressoché pari all'organico previsto di 206 unità.
Come è noto, il CESIS è struttura istituita alle dipendenze del Presidente del Consiglio al quale fornisce il supporto tecnico nella funzione di coordinamento dell'attività dei Servizi operativi.
Il CESIS è composto, oltre che dal Segretario generale e dai Direttori del SISMi e del SISDe, dal Capo di stato maggiore della difesa, dal Capo della polizia, dal Segretario generale del Ministero degli affari esteri, dal Comandante generale dell'Arma dei carabinieri, dal Comandante generale della Guardia di finanza e dal Segretario generale della Presidenza del Consiglio.
Al CESIS assicura continuità di funzionamento e di gestione il responsabile della Segreteria che, con il tempo, ha assunto un ruolo di sempre maggiore rilievo, certo al di là della previsione normativa che lo definisce come organo servente del Collegio.
Tale evoluzione, già posta in luce in passato, suggerisce al Comitato di riproporre una nuova configurazione legislativa del ruolo e delle funzioni del Segretario generale, come si illustrerà più dettagliatamente in altra parte della Relazione.


All'articolo 5 della legge n. 801 del 1977 si prevede che "i reparti e gli uffici addetti all'informazione, sicurezza e situazione esistenti presso ciascuna Forza armata o corpo armato dello Stato hanno compiti di carattere esclusivamente tecnico-militare e di polizia militari limitatamente all'ambito della singola Forza armata o corpo. Essi agiscono in stretto collegamento con il SISMi".
Le competenze di questi reparti e di questi uffici nonché il collegamento con il SISMi costituiscono dunque oggetto ordinario del controllo parlamentare che il comitato deve esercitare nei confronti dei SIOS (Servizi di informazioni operative e situazione) di forza armata, gerarchicamente dipendenti dai rispettivi Capi di stato maggiore e dal Ministro della difesa. Va ricordato che i SIOS sviluppano a mezzo di intercettazioni, di analisi tecnica delle comunicazioni in una determinata area di interesse, una attività di intelligence finalizzata a configurare la situazione degli obiettivi annualmente indicati dallo Stato maggiore della difesa, sentito il SISMi. Così il SIOS Esercito è chiamato a definire il potenziale militare di un determinato paese, il SIOS Marina a controllare la situazione marittima complessiva, non solo militare, nell'area del Mediterraneo, il SIOS Aeronautica ad occuparsi, tra l'altro, dell'autorizzazione al sorvolo di velivoli che transitano o fanno scalo sul territorio nazionale. I dati riferiti alle diverse situazioni sono messi a disposizione delle strutture che ne hanno bisogno, in primo luogo il SISMi al quale pervengono, in tal modo, le informazioni dai SIOS. Ma anche dal SISMi sono fornite informazioni ai SIOS di forza armata, secondo un rapporto di scambio reciproco, di flusso continuo di dati e di notizie che potrebbero trovare - ad avviso del Comitato - un fattore di razionalizzazione nella creazione di una intelligence militare unificata.
Ai SIOS di forza armata compete il rilascio delle abilitazioni di sicurezza oltre che per i militari (fino al grado di tenente colonnello incluso) per i civili e il personale ausiliario delle forze armate, per i civili operai e assimilati dipendenti da ditte che effettuano lavori o assicurano forniture «classificati» per le forze armate e per i quali le ditte medesime hanno inoltrato al competente SIOS le richieste di abilitazione. I SIOS di forza armata rimettono all'UCSI le pratiche di abilitazione per tutti i casi nei quali sorgano dubbi e perplessità in ordine alla fiducia da accordare ai fini della sicurezza.
Anche questa competenza, che integra l'attività dei SIOS di forza armata nel sistema della sicurezza, è stata attentamente valutata da parte del Comitato.
Si è così accertato che la fase istruttoria che precede la concessione dell'abilitazione da parte dei SIOS è gestita dall'Arma dei carabinieri.

La Guardia di finanza dispone di una struttura informativa: il II Reparto.
Esso svolge attività informativa riguardante la ricerca doganale, l'attività anticontrabbando ed antidroga; più in generale si occupa di traffici illeciti.
E' equiparabile ai SIOS di forza armata.
Il II Reparto provvede alla tenuta e all'aggiornamento dello schedario generale del Corpo, connesso con l'attività informativa.
In questo schedario generale, attivo dal 1952, viene archiviata la documentazione, secondo criteri alfabetico-cronologici. La documentazione è tutta opportunamente conservata. Nessuna delle acquisizioni informative è mai stata distrutta.


La legge n. 121 del 1° aprile 1981 sulla riforma della polizia ha istituito presso il Ministero dell'interno un archivio magnetico centrale per le informazioni concernenti la prevenzione e la repressione della criminalità. La legge ha affrontato il problema cruciale delle garanzie volte a prevenire i pericoli connessi alla installazione di grandi elaboratori elettronici (con il potere di disporre di una mole enorme di informazioni sui cittadini).
Tra le garanzie assume un particolare risalto la funzione di controllo che deve essere esercitata (articolo 10) dal Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza sul Centro elaborazione dati (CED). Il controllo dovrebbe avvenire "attraverso periodiche verifiche dei programmi nonché di dati e di informazioni casualmente estratti e forniti senza riferimenti nominativi" (articolo 10, comma 1). Conseguenza del controllo può essere la cancellazione dei dati, ma anche la loro integrazione, quando risultino parzialmente inesatti o equivoci. La cancellazione dev'essere ordinata dal Comitato, quando i dati siano stati acquisiti in violazione dell'articolo 7 della legge che fissa limiti alla raccolta delle informazioni, indicando tassativamente i documenti dai quali possono essere tratte, vietando l'assunzione di informazioni relative all'esercizio dei diritti di libertà politica, religiosa, sindacale, fissando l'ambito in cui è possibile acquisire notizie su operazioni o posizioni bancarie.
Un regolamento da emanare con decreto del Presidente della Repubblica - stabilisce l'articolo 11 - disciplina le procedure per la raccolta dei dati e delle informazioni, per l'accesso nonché per la correzione e cancellazione dei dati erronei e per la integrazione di quelli incompleti.
Il DPR n. 378 del 3 maggio 1982, in attuazione della norma di legge ora richiamata, dispone all'articolo 18: "le modalità tecniche relative alla estrazione casuale dei dati e informazioni da fornire senza riferimenti nominativi al Comitato parlamentare, nel corso delle verifiche, sono stabilite dalla Commissione tecnica di cui all'articolo 8, terzo comma, della legge n. 121 del 1° aprile 1981, ed approvate dal Comitato parlamentare stesso".
Dunque, una Commissione tecnica, costituita con decreto del Ministro dell'interno e che si colloca nell'ambito della stessa amministrazione sottoposta al controllo parlamentare, avrebbe dovuto predisporre le condizioni operative necessarie all'esercizio effettivo del controllo. Ciò non è avvenuto.
Le norme che consentirebbero l'accesso dell'organo parlamentare ai dati ed alle informazioni non sono mai state adottate. Si è impedito così finora al Comitato di adempiere ad un suo dovere istituzionale. È venuta meno una essenziale funzione di verifica (e di garanzia) circa la rispondenza complessiva del funzionamento del CED ai principi costituzionali in materia di diritti dei cittadini.
Il Comitato denuncia al Parlamento questa prolungata inadempienza che non è ulteriormente tollerabile.
La normativa prevista dev'essere adottata. Il Comitato ritiene che per un puntuale controllo debbano essere rimossi due ostacoli. In primo luogo, oggi esso non può assumere direttamente dati dall'archivio elettronico, perché le modalità di memorizzazione non consentono di estrarre adeguate informazioni senza riferimenti nominativi. In secondo luogo, manca presso il Comitato un terminale.
Il sistema informativo del CED deve essere riorganizzato, essendo oggi impostato per soddisfare le esigenze dei diversi utenti, ma non quelle del controllo parlamentare.


L'attenzione del Comitato si è soffermata su una vicenda, dai risvolti ancora oscuri, che ha coinvolto operatori del CED. Il Pubblico ministero che dirige le indagini relative alla morte dell'ex direttore delle partecipazioni statali, Sergio Castellari, ha acquisito agli atti dell'inchiesta la copia di un dossier su Castellari, attribuito al SISDe e successivamente risultato falso. Per formare tale documento sono stati utilizzati dati provenienti dal CED del Ministero dell'interno. A seguito di successivi accertamenti, si è potuto concludere che i dati erano stati estratti, secondo una procedura corretta, da operatori del CED. Questi sono stati sospesi dalle loro funzioni.
Resta da stabilire di quale iniziativa siano stati partecipi quali fossero gli scopi del falso dossier e del depistaggio delle indagini a cui probabilmente si mirava. Si attendono su questo i risultati delle indagini giudiziarie.
Risulta al Comitato che tra i dati provenienti dal CED ed inseriti nel dossier vi erano, tra l'altro, i numeri telefonici delle utenze riservate di Sergio Castellari e del figlio. La Commissione tecnica aveva da tempo disposto l'acquisizione al CED dell'archivio SIP con i numeri riservati. Perciò, interrogando un archivio di secondo livello e quindi di accesso più limitato, è possibile agli operatori abilitati conoscere l'identità dei titolari di tutte le utenze riservate. Ma questo tipo di informazioni (non essendo oggi l'azienda telefonica assimilabile ad una pubblica amministrazione o ad un ente pubblico) non sembra compreso nella previsione dell'articolo 7 della legge n. 121 del 1° aprile 1981 che contiene un elenco tassativo dei dati da raccogliere. Il Direttore del CED non è stato in grado di spiegare questa circostanza. Si tratta di un'ulteriore anomalia derivante dal mancato controllo.
(...continua)


(*) Comunicata alla Presidenza il 6 aprile 1995. Il testo della relazione è stato diviso in tre parti a cura della redazione. La seconda e la terza parte saranno pubblicate nei numeri successivi della rivista.
(1) A.C. IEMOLO, Diritto d'informazione dello Stato (a proposito di una recente polemica), in Giurisprudenza costituzionale, 1967, pag. 875 ss. Il 31 gennaio 1967 le vicende del SIFAR e le notizie di deviazioni, diffuse dalla stampa, erano state per la prima volta oggetto di un dibattito parlamentare al Senato.
(2) Cfr. G. COCCO, I servizi di informazione e di sicurezza nell'ordinamento italiano - vol. I, Padova 1980, p. 42 ss.
(3) Cfr. l'articolo 9 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 e in analoga prospettiva le proposte relative alle cosiddette garanzie funzionali, più avanti, al paragrafo 75.
(4) Su questa nozione cfr. F. DE FELICE, Doppia realtà e doppio stato, in Studi storici, 30, 1989, p. 493 ss.
(5) All'ordinamento dell'UCSI, alle sue attività ed ai problemi connessi sono dedicati i paragrafi 22-26 della presente relazione.
(6) Sul significato delle sigle e sulle rispettive funzioni di SISMi, SISDe, CESlS e SIOS, si vedano i paragrafi 14, 17 e 18 della presente relazione.
(7) A proposito di questo dovere di controllo, a cui il Comitato non ha mai adempiuto, anche a causa di ostacoli istituzionali, si vedano più avanti i paragrafi 64, 65, 67, 68 e 69.
(8) La genesi di questo articolo 12 è da ricercare tra le proposte per una nuova disciplina in materia di tutela del segreto, avanzate nell'ambito della Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, Doc. XXIII, n. 1, 15 dicembre 1970, p. 1327. Per la individuazione del segreto di Stato si affermava - "è necessario individuare gli interessi che meritano una intensa e penetrante tutela...". Interessi fondamentali, che concernono l'integrità dello Stato, la difesa delle istituzioni democratiche liberamente scelte dal popolo, la posizione ed il libero esercizio delle funzioni degli organi pubblici secondo le attribuzioni costituzionali, l'indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e le relazioni con essi. Vedi da ultimo U. ROSSI MERIGHI, Segreto di Stato tra politica e amministrazione, Napoli 1994.
(9) Cfr. G. FERRARI, L'avventura del "segreto" nell'Italia repubblicana negli anni tra il '60 e l'80, in AA.VV., Il segreto nella realtà giuridica italiana, Padova 1983, p. 23 ss. spec. p. 60: "...Si deve a questa tendenza alla commistione, a questa rinuncia alla selezione, che è poi rinuncia alla utilizzazione dell'esperienza e, quindi, alla compiutezza delle previsioni, se nel detto articolo 12 non si rintraccia per esempio ed in ogni caso non può presumersi che vi sia compreso - il ‘segreto finanziario', intendendo per esso quei provvedimenti d'urgenza relativi alla variazione del tasso degli interessi del debito pubblico, ovvero in materia fiscale ovvero ancora in tema di cambi valutari. Eppure si tratta di provvedimenti che possono, se divulgati anzi tempo, favorire speculazioni paurose e procurare danni incalcolabili alla politica economica e monetaria".
(10) Cfr. G. MOTZO, Regime giuridico delle basi militari NATO e di altri Stati nel territorio nazionale alla luce delle vigenti disposizioni costituzionali e degli accordi internazionali conclusi dall'Italia, in Le basi militari della NATO e di paesi esteri in Italia, Camera dei Deputati, Roma 1990, p. 37.
(11) Cfr. l'articolo 11 del Basic principles and Minimun Standards of Security: "Le persone che sono considerate a rischio per la sicurezza, come coloro che sono membri di organizzazioni sovversive, o coloro sulla cui lealtà ed affidabilità vi sia un ragionevole dubbio, devono essere escluse o rimosse da posizioni nelle quali potrebbero rappresentare un pericolo per la sicurezza della nazione".
(12) Cfr. C. MOSCA, Servizi di informazione e di sicurezza, in Novissimo Digesto Italiano, App. vol. VII, Torino 1987, p. 156 ss. Sulla vicenda istituzionale dei Servizi, una limpida ricostruzione è in A. MASSERA, Servizi di informazione e di sicurezza, in Enciclopedia del diritto, vol. XLII, 1990 Milano, p. 393 ss.
(13) Così nell'audizione del 20 ottobre 1994.
(14) Così nell'audizione dell'11 ottobre 1994.
(15) E' un impegno difficile nell'ambito degli attuali poteri del Comitato. A proposito della necessità che l'organo parlamentare sia dotato di poteri più ampi e penetranti, per adempiere ad un effettivo compito di controllo, si veda il paragrafo 64 della presente relazione.
(16) Così nell'audizione del 10 febbraio 1995.
(17) Ibidem.
(18) Si veda il paragrafo 75.
(19) Resta aperto un problema: quale destino abbiano avuto gli archivi della VII Divisione e i documenti inerenti alla sua attività. Su questo punto si veda più avanti il paragrafo 44.

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